Skip to main content
Monthly Archives

Luglio 2023

Vendita online e delivery dei farmaci: intervista a Eleonora Mazzoni di I-Com

By Healthcare policy, News, Status_Quo

Il numero inaugurale di Status_Quo, il magazine di Cuiprodest sui temi chiave della politica e dell’impresa raccontati dai loro protagonisti, contiene un’intervista a Eleonora Mazzoni, Direttore Area Salute dell’ Istituto per la Competitività (I-Com), sul tema della vendita online e del delivery dei farmaci.

Leggi e scarica Status_Quo di giugno 2023

La vendita di farmaci online in Italia è regolamentata dall’art. 112-quater del D.lgs. n. 219/2006 – così come modificato dal D.lgs. n. 17/2014, che ha recepito la Direttiva 2011/62/UE – e dalle circolari emanate dal Ministero della Salute a gennaio e maggio del 2016, che disciplinano la procedura di richiesta di autorizzazione e le modalità di vendita su internet.

La vendita online è possibile solo per i farmaci senza obbligo di prescrizione, cosiddetti SOP, che comprendono i farmaci da banco, anche detti OTC (Over The Counter), che sono medicinali da automedicazione e che come tali vengono indicati solitamente per disturbi di lieve entità. Sono usati per un breve periodo di tempo e per essi non è necessario l’intervento del medico. Un bollino sulla loro confezione li rende facilmente riconoscibili.

Il decreto legge del 2014, e successivamente le circolari del Ministero della Salute, vieterebbero di per sé la vendita dei medicinali, anche senza obbligo di ricetta, tramite app o siti intermediari. La legislazione esistente quindi vieta la vendita online dei farmaci, ma non la consegna a domicilio, anche denominata “last mile delivery”. Il provider in questione, quindi, consegna il prodotto da un venditore autorizzato al consumatore senza assumerne il ruolo di venditore. L’elemento che fa la differenza è il meccanismo di delega: l’utente deve delegare la piattaforma utilizzata all’acquisto del farmaco per suo conto.

Di questo abbiamo parlato con Eleonora Mazzoni, Direttore Area Salute dell’Istituto per la Competitività (I-Com), che ha dettagliatamente analizzato la questione nel maggio 2023 nel policy brief elaborato in collaborazione con Maria Vittoria di Sangro.

Quali sono le sfide normative legate alla vendita online e alla delivery dei farmaci?

La vendita online è regolamentata da un decreto legislativo che disciplina la procedura di richiesta di autorizzazione e le modalità di vendita su internet. Ad oggi, possono essere venduti online solamente i SOP, i farmaci senza obbligo di prescrizione, e gli OTC, i farmaci da banco, presenti in un elenco stilato dall’ Aifa. Si possono inoltre acquistare su internet prodotti parafarmaceutici e omeopatici, a meno che il produttore non abbia precisato che il medicinale può essere venduto solo dietro presentazione di ricetta medica. È invece vietata la vendita online dei farmaci che necessitano di ricetta medica.

In questo caso, quindi, la sfida è più relativa al riconoscimento da parte del Ministero della Salute dei punti autorizzati alla vendita (anche offline) di questi prodotti.

La vendita di medicinali e prodotti farmaceutici mediante e-commerce è, in ogni caso, consentita solo ad alcune categorie di soggetti autorizzati alla vendita di medicinali mediante i canali offline. Si tratta di farmacie, parafarmacie e dei corner salute presenti in alcuni esercizi della grande distribuzione, che hanno ottenuto la licenza e l’autorizzazione alla vendita. In questo senso, seguendo l’esperienza di altri paesi, anche in Europa, le esigenze del mercato e la domanda potrebbero spingere ad allargare la platea di esercizi autorizzati alla vendita di farmaceutici, parafarmaceutici e omeopatici senza obbligo di prescrizione, in modo più capillare alla grande distribuzione.

La questione a cui porre più attenzione è quella del delivery. Se la normativa italiana vieta esplicitamente la vendita online di prodotti farmaceutici con obbligo di ricetta, e altrettanto la vendita online di prodotti senza obbligo di prescrizione da parte di esercizi non autorizzati dal Ministero della Salute (anche alla loro vendita tramite canali offline), essa non ne vieta la consegna, quella che viene comunemente chiamata “last mile delivery” del farmaco, attraverso l’utilizzo di piattaforme e di sistemi online.

Ciononostante, la normativa non è altrettanto chiara nel distinguere in maniera particolareggiata la definizione di “vendita online” da quella di “delivery”, e questo ha generato e può generare in capo agli operatori di mercato alcuni problemi. Nel non avere una chiara definizione a livello normativo è, infatti, più difficile seguire tutta una serie di regole che rendono evidente (al pubblico e al legislatore) la differenza dell’attività che stanno svolgendo (il delivery) dalla vendita online.

L’altra sfida ha carattere normativo ed è quella di aggiornare la regolamentazione rendendo il più chiaro possibile il confine all’interno del quale ci si può muovere. La chiarezza di tale normativa è sempre un beneficio sia per gli operatori di mercato che per gli altri stakeholders del sistema salute (farmacie, parafarmacie, cittadini etc.), a maggior ragione nel contesto attuale in cui gli investimenti della Missione 6 Salute del PNRR sono rivolti ad avvicinare la salute al cittadino, anche grazie all’uso del digitale come fattore abilitante.

In che modo il PNRR, prefiggendosi l’obiettivo di avvicinare la sanità al cittadino e al paziente, può contribuire allo sviluppo di un mercato dell’ home delivery?

In generale, tutta l’impostazione del PNRR, non solo nella Missione 6, punta sulla digitalizzazione del sistema Paese, a partire dalla Pubblica Amministrazione.

Nella Missione 6, l’investimento in digitale si pone soprattutto l’obiettivo di avvicinare la sanità al cittadino/paziente. Per l’assistenza territoriale, riformata in coerenza con il PNRR dal DM 77/2022, i grandi investimenti nel digitale sono fondamentalmente due: la creazione di una piattaforma nazionale per i servizi di telemedicina e le COT (centrali operative territoriali). Anche se a livello finanziario l’investimento sembra essere un po’ basso in relazione al resto del Piano, quello che ci si auspica è che questi strumenti vengano resi interoperabili anche con il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) e con i sistemi di raccolta dati e monitoraggio grazie al rafforzamento dell’infrastruttura tecnologica del Ministero della Salute.

Inevitabilmente, la forte spinta della digitalizzazione anche nell’accesso alle cure si porta dietro una verosimile accelerazione dell’home delivery e della vendita online.

Secondo il vostro studio quali sono gli strumenti più idonei a favorire l’innovazione nell’accesso ai farmaci?

A mio avviso, l’innovazione nell’accesso ai farmaci ha di fronte delle sfide più importanti che sono più regolatorie e di accesso.

Il nostro bilancio pubblico è limitato e questo impone delle riflessioni rispetto alla sostenibilità della spesa sanitaria e farmaceutica di fronte alle grandi innovazione che sono arrivate e che arriveranno in futuro. Sarà probabilmente necessario ripensare i modelli di valutazione.

Lo sviluppo digitale, però, può veramente fare la differenza perché l’ innovazione nell’accesso ai farmaci significa anche garantire un accesso più rapido ed equo ad alcuni prodotti, servizi e prestazioni, compreso il farmaco.

Tutti i punti della catena di erogazione di prestazioni e servizi da parte del SSN in cui il digitale può intervenire per migliorare il processo sono sistemi innovativi di accesso alle cure: dalla prenotazione delle visite online alla consegna dei farmaci, passando dalla possibilità di monitorare i parametri biomedici e l’aderenza terapeutica.

Distribuzione dei farmaci e supply chain: intervista a Mila De Iure di Assoram

By Healthcare policy, News, Status_Quo

Il numero inaugurale di Status_Quo, il magazine di Cuiprodest sui temi chiave della politica e dell’impresa raccontati dai loro protagonisti, contiene un’intervista a Mila De Iure, Direttrice generale di Assoram, sul tema della distribuzione dei farmaci.

Leggi e scarica Status_Quo di giugno 2023

ASSORAM è l’associazione nazionale che rappresenta oltre 100 aziende della distribuzione e dei servizi nel settore healthcare dei prodotti farmaceutici, parafarmaceutici, cosmetici e dei dispositivi medici e sanitari, ed è quindi il riferimento nazionale in tema di distribuzione. Anche su questo si confronteranno Istituzioni e filiera health alla 58° Assemblea di ASSORAM “Distribuire salute: la logistica che abbatte le barriere”, che si terrà il 21 giugno 2023 presso la Sala Capranichetta dell’Hotel Nazionale in Piazza di Monte Citorio a Roma. A tal proposito, abbiamo posto alcune domande alla Direttrice generale Mila de Iure.

Dottoressa De Iure, nella passata legislatura era stata avviata un’indagine conoscitiva sulla distribuzione dei farmaci che poi si è interrotta come la legislatura stessa. Quali temi sono rimasti in sospeso?

L’iniziativa parlamentare della scorsa legislatura partì dal presupposto che, a fronte del risparmio derivante dalla minore spesa per l’acquisto dei farmaci, le strutture pubbliche sostenessero notevoli costi sommersi che, sostanzialmente, annullerebbero il presunto risparmio. L’Indagine ha voluto approfondire i processi della «distribuzione diretta» e della «distribuzione per conto» del farmaco, verificando l’efficacia, l’efficienza e l’economicità di tali processi. Dalle audizioni ascoltate alla Camera furono diverse le criticità segnalate, tra cui le variabili regionali derivanti da accordi tra le regioni e le farmacie, che sono caratterizzati da diverse scelte organizzative e di gestione che influenzano anche i costi del servizio distributivo e le remunerazioni agli attori della filiera.

Emersa nella prima fase della pandemia per i differenti obblighi di comportamento tra le regioni, la disomogeneità normativa e amministrativa nell’ambito della sanità regionale era una complessità ben nota ai distributori dei prodotti della salute. Questi operatori si ritrovano a viaggiare tutti i giorni lungo i confini geografici e regolatori dei venti Sistemi Sanitari esistenti al fine di garantire il rifornimento continuo e sicuro di prodotti essenziali per soddisfare il benessere della società. Relativamente al comparto che ASSORAM rappresenta, le divergenze amministrative impattano sull’operatività delle aziende, aggravando i processi non solo in termini temporali ma anche di costo. Quindi, le differenze operative e amministrative esistenti tra le Regioni nell’ambito del Sistema Sanitario Nazionale e in alcuni casi delle regole dell’health supply chain italiana rispetto al resto d’Europa sono certamente criticità da affrontare con tempestività. Le aziende del nostro comparto hanno necessità di liberare risorse per investire in qualità, senza eccessivi appesantimenti burocratici e normativi oltre quelli necessari alla totale sicurezza di prodotti e processi. La nostra qualità non può subire interruzioni dalla produzione alla dispensazione, visto che abbiamo a che fare con la salute del cittadino paziente.

Quali sono le sfide o le novità del settore rappresentato da ASSORAM?

Come soprammenzionato, le differenze operative e amministrative esistenti tra le Regioni nell’ambito del Sistema Sanitario Nazionale rappresentano una vera e propria sfida del nostro settore, ma certamente non l’unica. Gli ultimi venti anni hanno visto una lenta ma progressiva trasformazione della filiera, ad esempio abbiamo assistito a una costante digitalizzazione e a un progressivo impegno da parte delle istituzioni europee nell’armonizzazione delle direttive degli Stati membri in tema ESG, a cui ha dato nuovo impulso anche l’emergenza sanitaria da Covid-19.

Nonostante la forte pressione a cui è stata sottoposta, la nostra filiera ha reagito bene, garantendo la consegna regolare di farmaci, dispositivi medici e di tutti i prodotti necessari ai canali farmacia e ospedaliero. Tutto ciò è stato possibile a fronte di cospicui investimenti sul fronte della sicurezza, automazione e digitalizzazione dei processi. Tuttavia l’integrazione delle tecnologie di Supply Chain Management all’interno dei processi aziendali è fine a sé stessa se non mira anche alla condivisione del dato con gli altri attori della catena della distribuzione, necessaria in un comparto come quello health dove le aziende sono legate da una fitta rete di connessioni e relazioni commerciali con un elevato numero di fornitori. Una filiera collaborativa è l’unica ricetta che tuteli i singoli anelli della catena e il paziente.

Di pari passo con l’impegno profuso nella digitalizzazione delle imprese, le istituzioni europee hanno compiuto numerosi sforzi regolatori per uniformare la normativa di settore dei singoli Stati membri. Si tratta di un processo in continua evoluzione, che vede l’Italia scontare alcuni ritardi: basti pensare al certificato GDP – Good Distribution Practice, la patente di qualità del distributore condivisa a livello EMA, a cui le aziende italiane si sono già conformate nonostante l’Italia da 10 anni non abbia ancora formalmente recepito la Direttiva. Anche il processo di serializzazione dei farmaci, rinviato per l’Italia al 2025 per via dell’evoluto sistema nazionale di tracciabilità, evidenzia una eccessiva lentezza nelle attività di elaborazione del sistema nazionale che dovrà dialogare con l’Hub europeo a cui è connessa la quasi totalità degli altri Stati membri già dal 2019.

Eventuali novità relative all’ultimo miglio, all’atto della dispensazione, come impatterebbero sul settore rappresentato?

Stando ai dati del Report Mediobanca sulle farmacie (2022), a livello europeo l’e-commerce farmaceutico è stimato in 20 miliardi di euro, con attese di crescita al 2027 pari al 18% medio annuo.

Secondo il report, nel nostro Paese il numero di esercizi autorizzati alla vendita online di medicinali non prescription è cresciuto dal 2016 a ritmi del 36,5% medio annuo e anche il giro d’affari, attestato nel 2021 a 437 milioni, risulta in crescita del 14,1% sui 383 milioni del 2020 che a loro volta segnavano un incremento di oltre il 66% dai 230 milioni del 2019. Tra il 2021 e il 2019 la crescita è stata quindi del 90%.

Questo trend positivo registrato nell’utilizzo del mercato online e della home delivery quale modalità di consegna comporta un progressivo aumento del traffico merci, che ha un impatto importante in termini di emissioni di CO2. ASSORAM, nell’ambito del suo impegno sul fronte ESG, sta approfondendo anche il tema del peso ambientale del trasporto di questi volumi. Per raggiungere la Net Zero Carbon Emission occorrerebbe gestire al meglio i flussi logistici ricorrendo alle tecnologie più innovative che consentano anche la programmazione di percorsi di consegna più sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale e investire nella e-mobility. L’impiego di veicoli green anche per l’ultimo miglio può significare maggiore efficienza, ottimizzazione dei costi e migliore gestione degli spostamenti.

Dobbiamo quindi prendere atto che gli investimenti nella digitalizzazione e transizione green saranno sempre più necessari per far fronte alle sfide globali. In tal senso, ASSORAM osserva, informa e lavora costantemente sulle criticità di un comparto, quello distributivo e del trasporto, sempre più strategico da cui transita la quasi totalità dei prodotti del canale farmacia, parafarmacia, ospedaliero e home delivery.

Cuiprodest al Mobility Forum 2023: il racconto del dibattito

By News, Status_Quo, Sustainability Policy

Nel numero inaugurale di Status_Quo, il magazine di Cuiprodest sui temi chiave della politica e dell’impresa raccontati dai loro protagonisti, abbiamo raccontato il panel “Energy management & Sustainability” del Forum Mobilità 2023 di Comunicazione Italiana, moderato dal nostro managing partner Giuseppe Volpe.

Leggi e scarica Status_Quo di giugno 2023

Quale sarà tra cinque, dieci e quindici anni il combustibile delle nostre auto? Si potrà ancora parlare di combustibili in senso stretto? Come la transizione energetica già in atto rivoluzionerà la mobilità e ridisegnerà i profili delle nostre città? Quali cambiamenti dovremmo apportare alla nostra rete elettrica affinché possa garantire la sostenibilità economica e strutturale del passaggio dal motore termico a quello elettrico?

Da professionisti del lobbying, siamo quotidianamente posti di fronte alla complessità sottesa a ogni fenomeno della società e ai tentativi del legislatore di regolamentarne gli aspetti più disparati. Per tali ragioni, siamo convinti che per trovare risposte esaustive e plausibili a quesiti così complessi e dirimenti per il futuro dei molti settori coinvolti occorra interpellare e creare spazi di dibattito tra gli addetti ai lavori – unici attori realmente in grado di districarsi nella complessità e comunicarla in termini comprensibili a qualsiasi platea.

È questo il genere di approccio che Cuiprodest ha rinvenuto nel modello del Mobility Forum di Comunicazione Italiana, tenutosi a Roma lo scorso 11 maggio e suddiviso in panel tematici volti proprio a raccogliere e porre a confronto le letture esperte dei protagonisti industriali delle aree prese in considerazione.

In un contesto così tecnico, il nostro Managing partner Giuseppe Volpe ha avuto il piacere di condurre il proficuo dibattito del panel “Energy Management & Sustainability”, a cui hanno partecipato, in ordine rigorosamente alfabetico:

  • Giovanni Moratti, Chief of Energy Transition Saras
  • Giuseppe Rebuzzini, CEO MET Energia Italia
  • Lorenzo Serra, Amministratore Unico Waga Energy Italia
  • Matteo Sipione, Founder & CEO Luminos
  • Federico Vitali, Founder FAAM / Vice Presidente FIB spa – SERI Industrial

Di grande lungimiranza l’intervento di Giovanni Moratti, volto a rimarcare la centralità del processo di decarbonizzazione, che rappresenta la condizione imprescindibile alla base di una transizione energetica autentica, altresì resa futile da una rete elettrica a elevate emissioni di carbonio.

Con la parola a Federico Vitali, fondatore dell’unica azienda italiana produttrice di batterie a litio, si è introdotto il tema di grande rilevanza geopolitica del superamento del monopolio asiatico nelle tecnologie di accumulo energetico e del ruolo campale delle gigafactory.

A seguire, Giuseppe Rebuzzini ha ricordato come la transizione energetica possa giungere a compimento solo a patto che la politica, a livello tanto nazionale quanto europeo, indichi obiettivi non solo chiari, ma anzitutto realistici nel loro raggiungimento.

Nel suo intervento, Lorenzo Serra ha ricordato il ruolo – troppo spesso sottostimato – del biometano nel processo di decarbonizzazione necessario al compimento della transizione energetica e delle tecnologie con cui è possibile ricavarne ingenti quantità dalle discariche di rifiuti.

A chiudere il panel, Matteo Sipione ha illustrato gli scenari che i servizi di sharing di auto, scooter e monopattini elettrici possono aprire nel futuro prossimo delle nostre città, in relazione alla mobilità urbana e alle politiche pubbliche con cui il legislatore europeo può agevolare e velocizzare il processo in questione.

Un dialogo aperto, scevro di dogmatismi e approcci nocivamente ideologici, da cui traspare – come spesso accade nei dibattiti animati da un autentico desiderio di confronto – l’assenza di bacchette magiche con cui si pretende troppo spesso di indicare soluzioni apparenti e semplicistiche a fenomeni di elevata complessità. È, questo, un metodo che Cuiprodest da sempre condivide e adotta, fondamento – ne siamo certi – di una lunga e proficua collaborazione con Comunicazione Italiana.

Greenwashing: un pericolo per imprese, consumatori e ambiente. Intervista a Libero Cantarella

By News, Status_Quo, Sustainability Policy

Il numero inaugurale di Status_Quo, il magazine di Cuiprodest sui temi chiave della politica e dell’impresa raccontati dai loro protagonisti, contiene un’intervista a Libero Cantarella, Presidente di IPPR (Istituto per la Promozione delle Plastiche da Riciclo), sul tema del greenwashing – fenomeno sempre più diffuso e dannoso per imprese, consumatori e, soprattutto, per l’ambiente.

Leggi e scarica Status_Quo di giugno 2023

Un rilevante caso di studio in tema di greenwashing è quello che riguarda la plastica, spesso oggetto di ingiustificati attacchi e critiche, ma che risulta essere uno dei materiali più importanti in tutti i settori – dall’automotive all’agricoltura, dalla sanità all’edilizia. Il livello di attenzione su questo materiale – anche in ambito di comunicazione pubblica – è lievitato negli ultimi anni e, a tal proposito, abbiamo chiesto a Libero Cantarella, Presidente di IPPR (Istituto per la Promozione delle Plastiche da Riciclo), alcune delucidazioni sul rischio di greenwashing nel settore delle materie plastiche. IPPR nasce nel 2004 per volontà di Unionplast, Plasticseurope e Corepla con l’obiettivo di favorire l’incontro tra domanda e offerta nell’ambito delle plastiche da riciclo.

Presidente Cantarella, sui prodotti di uso quotidiano troviamo spesso dichiarazioni quali “bottiglia con 100% di plastica riciclata” oppure “imballaggio con 50% di plastica riciclata”: quanto può il consumatore oggi fidarsi di asserzioni di questo tipo? E qual è il ruolo di IPPR a riguardo?

Vorrei dire che trovo intollerabili le asserzioni con cui si sostiene che l’imballaggio sia stato realizzato “con l’x% in meno di plastica”, che in sé appare un assunto positivo, mentre nella maggior parte dei casi vuol dire semplicemente che la plastica è stata sostituita da un altro materiale, senza che siano fornite indicazioni in merito a una reale sostenibilità del prodotto, che quindi viene millantata. I brand owner hanno molte responsabilità, cedendo a una comunicazione irrazionale e irresponsabile nel tentativo di dare risposte a generiche richieste di sostenibilità da parte dei consumatori.

Si colpisce, dunque, ciò che nell’immaginario collettivo rappresenta un pericolo e la plastica è il candidato ideale per questo tipo di comunicazione. Se il consumatore non vuole plastica, la si sostituisce a qualunque costo, anche a costo dell’insostenibilità!

Per rispondere più precisamente alla domanda, per quanto riguarda le asserzioni sull’utilizzo di plastica riciclata, certamente l’accresciuta attenzione dei consumatori verso un’economia non più lineare ha portato alla crescita del mercato delle materie prime seconde. IPPR infatti può testimoniare che nella sua ultraventennale attività associativa con il marchio “Plastica Seconda Vita” ha portato alla certificazione ben 8000 prodotti che incorporano plastiche provenienti dal ciclo dei rifiuti. Un risultato importantissimo che solo alcuni anni fa era impensabile. Il mercato, certamente, pullula di attori spregiudicati, quindi bisogna saper riconoscere le etichette attendibili, come appunto “Plastica Seconda Vita”, soprattutto perché IPPR ha scelto da diversi anni di far accreditare da Accredia il disciplinare collegato alla certificazione dei prodotti, creando una garanzia di serietà sul mercato.

“Quanto è importante l’analisi dell’intero ciclo di vita di un prodotto per la comparazione, per esempio, con altri tipi di materiali – penso alla carta o al vetro in sostituzione della plastica?”

La valutazione del ciclo di vita dei prodotti attraverso gli strumenti offerti dagli LCA -Life Cycle Assessment- è quanto di meglio si possa usare fra gli strumenti scientifici per la valutazione degli impatti ambientali dei prodotti, per l’appunto lungo tutto il ciclo di vita.

Tuttavia, come in molti casi, questi strumenti sono seri e affidabili solo in determinate condizioni, quando sono comunicati avendo ottenuto una certificazione di parte terza accreditata, altrimenti il rischio di greenwashing non solo è dietro l’angolo, ma è quasi una certezza. Altro punto dolente è l’utilizzo parziale degli strumenti offerti da questi studi, nel senso che la parte committente, che ovviamente ha interesse a comunicare un certo tipo di dato, normalmente comunica solo quello più vantaggioso, per esempio la sola CO2, ma la valutazione del ciclo di vita di un prodotto porta a esaminare ben 16 differenti tipi di impatto ambientale e a mio avviso la partita si gioca schierando tutti i giocatori.

Si tratta di strumenti ad alto contenuto scientifico e ingegneristico e occorre una preparazione specifica non solo per portarli a termine ma anche per interpretarli. Quindi, per quanto rappresentino uno strumento fondamentale, purtroppo gli studi LCA sono incomprensibili ai più e per questo la comunicazione si semplifica su messaggi elementari che hanno senso più per il consumatore che per la reale sostenibilità.

Qual è, secondo la sua esperienza, un comportamento virtuoso che può attuare il consumatore per tutelare l’ambiente?

Comprare ciò di cui ha veramente bisogno, avere consapevolezza di quanto le proprie azioni e interazioni possano condizionare la collettività, tornare a insegnare la buona educazione in famiglia. Basterebbe questo ma, per ottenere il massimo anche in ambito di raccolta differenziata, sarebbe dirimente riabilitare i programmi di educazione civica ambientale nelle scuole, al fine di trasmettere le pratiche e i messaggi corretti sin da una giovane età.