Skip to main content

Luigi Di Maio, leader del Movimento 5 Stelle, il partito che ha raccolto più consensi alle elezioni dello scorso 4 marzo, constatata l’impossibilità di dar vita ad un esecutivo sia con la coalizione di Centro Destra che ha raccolto più consensi alle ultime elezioni, sia col PD, il partito che ne ha raccolti meno alle ultime elezioni, su Facebook scrive: “andiamo insieme a chiedere di andare a votare e facciamo questo secondo turno a giugno”.
Comunque la si pensi, anche chi non ha letto Saramago e quindi non ha potuto saggiare lo scenario di un risultato identico venuto fuori da una nuova consultazione, potrebbe agevolmente fare i conti con la Costituzione alla mano ed appurare che la prima data utile per votare sarebbe non giugno, come proposto, ma il 23 settembre. Il Corriere della Sera spiega benissimo il motivo qui: http://www.corriere.it/politica/18_aprile_30/voto-giugno-no-data-piu-vicina-le-urne-23-settembre-a5daa476-4c74-11e8-99ac-c9986d6134ff.shtml.
Insomma, votando ad inizio marzo, l’Italia non è riuscita a dotarsi di molto più di un “governo balneare”, come si diceva una volta. Chissà che votando a fine settembre, con le scadenze incombenti della Finanziaria e del Milleproroghe, non si riesca ad avere quantomeno un “governo natalizio”.
E così tra equilibri precari e legittimi giochi di partito, il 2018 andrebbe scivolerebbe via come “l’anno in cui non siamo stati da nessuna parte” per usare le parole di Che Guevara. Se poi questo giovi o non giovi al Paese, non sta a noi tecnici dirlo. Però, in tempi di antipolitica, anticasta, antivitalizi, antistipendi e anti-tutto, val la pena ricordare che quelle poltrone (o lettini) vuoti uno stipendio ad ogni eletto lo stanno legittimamente assicurando. Forse anche di questo terranno conto gli elettori?