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Blockchain: fiducia, crisi della democrazia, mercati efficienti e contratti (non di governo)

By News

“La blockchain guarda ai prossimi 20-30 anni, al futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti. La blockchain è come se d’ora in poi, ogni volta che acquistiamo un bene o un servizio, avessimo un notaio invisibile accanto a noi che ci certifica che non ci hanno fregato. Un pomodoro al supermercato sarà veramente made in Italy, saremo certi che il prodotto che stiamo acquistando è veramente artigianale o che non dobbiamo interessi non dovuti alla nostra banca. La blockchain è una rivoluzione epocale, come Internet che ha cambiato le nostre vite perché salta gli intermediari”.

Sono queste le parole con cui il Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ha commentato a caldo l’ingresso dell’Italia nel gruppo di lavoro UE27 lanciato per lo scambio di informazioni ed esperienze sulla blockchain, l’innovativa tecnologia di gestione dei Big Data che guiderà la trasformazione digitale verso il prossimo livello di servizi pubblici e privati transnazionali. In futuro non è esclusa anche la sperimentazione di forme sicure di esercizio della democrazia diretta (democracy by design), tema che sta molto a cuore al M5S. Si tratta di una rete pubblica di registri pubblici distribuiti che contengono la catena delle informazioni non vere in assoluto, ma assolutamente non ripudiabili in quanto ogni variazione del dato costituisce un anello della catena dell’informazione indeformabile e condiviso, gratis per tutti.

Gli ambiti che appaiono più promettenti – per fare solo qualche esempio – sono quelli relativi all’integrità nel trattamento dei dati sensibili (fascicolo sanitario, anagrafe, etc…), la tutela della proprietà intellettuale (copyright), il contrasto delle frodi (certificazione dei titoli di studio), il miglioramento dei sistemi di tracciabilità (filiera agroalimentare), l’energia, l’accesso a servizi pubblici e privati (conclusione di smart contracts da parte delle macchine p.e.s. nelle forniture legate alla domotica oppure sulle smart roads). Oltre alle stranote “criptovalute”, sul versante monetario. Meno favoriti al momento il settore finanziario (es. la negoziazione dei titoli di borsa) e dei pagamenti per i quali è ancora tecnologicamente molto efficiente l’attuale circuito (40.000 transazioni processate al secondo contro 1-2 nelle lunghe catene blockchain).

E’ un primo passo verso la definizione di una strategia nazionale che, con il suppporto di un pool esperti in corso di selezione, porterà alla costituzione di un Fondo gestito dal MISE per la promozione di iniziative e progetti di start-up dedicate a blockchain, Intelligenza Artificiale e Internet delle Cose (IoT) , quasi sicuramente alimentato da una quota dell’incasso derivante dalla gara per le frequenze 5G e che si aggiunge ai 300 milioni messi a disposizione della UE per il Progetto Horizon 2020.

L’Italia, avendo una assetto normativo strutturato e capillare, si presta alle sperimentazioni più interessanti e può legittimamente candidarsi ad un ruolo guida a livello europeo per definire le linee di sviluppo del settore. Un po’ come è successo per il GDPR il quale (benchè tutto europeo nella genesi) sta inevitabilmente condizionando l’operatività dei maggiori attori globali attivi nella digital economy (OTT in testa). In questo senso la UE ha spazio per contrastare il monopolio cinese dei miners, i centri energivori preposti alla validazione delle transazioni, che costituiscono di fatto un’istanza geopolitica sulla strada dello sviluppo di un sistema decentralizzato cross-border in mano pubblica.

Standard applicativi, efficienza della validazione delle catene molto lunghe, registrazione dei dati a mezzo identità digitale (dal 29 settembre è pienamente operativa la direttiva NIS sulla cybersecurity), ruolo degli OTT sono temi critici ancora aperti, ma il processo e l’innovazione che ne consegue è iniziato. C’è molto da fare per la politica, i regolatori, gli stakeholder, le imprese e i professionisti che le aiutano nell’affermazione degli interessi (diffusi) che rappresentano. Tutto ciò viaggia sulle frequenze 5G (ex televisive di Rai e Mediaset), le nuove reti destinate all’Internet delle cose la cui gara è in corso e il cui corrispettivo per le casse statali veleggia verso la quota record di 5,8 miliardi. Ma questa è un’altra storia.

Andrea Franceschi