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Intervista a Corrado Dentis per Status_Quo

By News

Il numero di settembre 2023 di Status_Quo, il magazine di Cuiprodest sui temi chiave della politica e dell’impresa raccontati dai loro protagonisti, contiene un’intervista a Corrado Dentis, Presidente di CORIPET.

Abbiamo posto al Presidente Dentis alcune domande su temi inerenti il Regolamento imballaggi PPWR, il DRS, il riciclo delle bottiglie in PET e la diffusione degli ecocompattatori sul territorio nazionale.

Un ruolo peculiare, nel vasto mondo degli imballaggi in plastica, è rivestito dagli imballaggi a uso alimentare e, in particolar misura, da quelli in PET, preposti a contenere acqua, bevande e olio.

Da un punto di vista della raccolta e del riciclo, gli imballaggi in PET possono contribuire in maniera determinante al raggiungimento degli stringenti obiettivi posti dal legislatore europeo, a patto che se ne potenzi la raccolta selettiva, modello alla base del “circolo virtuoso” del “bottle to bottle” in grado di chiudere il cerchio di un’economia a bassissimo impatto ambientale.

In Italia, la realtà leader del settore è CORIPET – Consorzio volontario per il Riciclo del PET, a cui aderiscono i più grandi player nazionali e internazionali nel mondo delle acque minerali e delle bevande.

A tal proposito, abbiamo posto alcune domande sul modello di CORIPET e su sfide e opportunità della Direttiva SUP e del Regolamento PPWR a Corrado Dentis, Presidente del Consorzio.

 

Presidente, in tutta evidenza, il regolamento imballaggi PPWR è il tema di più stringente attualità e interesse per il mondo della produzione e del riciclo delle materie plastiche. A suo parere, al suo interno sono preponderanti i rischi o le opportunità per il settore?

Sui vari temi trattati dal regolamento imballaggi, uno su tutti ci vede schierati: è la dinamica del riutilizzo, a cui siamo chiaramente e fortemente contrari, anche per via della sua logica, che comporta un passo indietro rispetto all’indirizzo che ha finora inteso imprimere l’Unione Europea.

Ricordiamo, di fatti, che la SUP, Direttiva 904/2019, pone al centro e come perno il mondo del riciclo, che deve però avvalersi di raccolte differenziate importanti – parlo del 77% di raccolta di contenitori per liquidi in PET al 2025, che poi diventeranno il 90% a far data dal 1 gennaio 2029. Imporre ora e obbligatoriamente dei livelli di riutilizzo molto elevati è un obiettivo chiaramente non in linea con l’indirizzo finora indicato.

Lo stesso dicasi per il DRS, Deposit Refund System (in italiano “sistema di deposito cauzionale”), su cui siamo allineati, come posizionamento, con molte altre associazioni di categoria nel non reputarlo così cogente come strumento al punto da imporlo in modo obbligatorio per il sistema Italia.

Ciò non significa, tuttavia – e lo diciamo da leader di mercato nella gestione del fine vita dei contenitori per liquidi in PET – che si possa mollare la presa e lasciare che il Paese non raggiunga l’obiettivo del 77% imposto entro il 2025 – soprattutto alla luce del dato che, a oggi, ci vede lontani da quel traguardo.

È certamente necessario procrastinare i termini relativi alla raccolta e al DRS; nondimeno, è fondamentale affrontare il tema perché, a oggi, l’Italia è assolutamente indietro sul tema delle raccolte selettive.

Sottolineo, infatti, che già nel Regolamento Europeo 282/2008, che fissava i requisiti di una filiera bottle to bottle con tutti i crismi, si sosteneva che fosse necessario raccogliere almeno il 95% delle bottiglie in PET nate per contenere alimenti. Si tratta di un Regolamento di 15 anni fa e oggi la percentuale di raccolta selettiva di bottiglie in PET in Italia si attesta a malapena all’1%.

Benché l’Italia rappresenti un’importante eccellenza a livello comunitario in tema di riciclo, con “quota 77” ancora lontana e la raccolta selettiva su cui non siamo pervenuti, è evidente che di lavoro da fare, allo stato attuale, ce ne sia ancora molto.

Costruendo percorsi e trovando soluzioni, l’Italia può dimostrarsi perfettamente in grado di raggiungere gli obiettivi comunitari e Coripet intende mettersi in gioco in prima persona, insieme a tutto il sistema Paese, per evitare l’introduzione del sistema cauzionale del DRS come obbligo.

Occorre infatti sottolineare che, nel caso in cui l’attuale sistema di raccolta riuscisse ad intercettare il 90% delle bottiglie in PET entro il 2027, tale obbligo non scatterebbe.

Riguardo, invece, le opportunità del PPWR, sono assolutamente favorevole all’obbligatorietà di un contenuto di riciclo minimo per le plastiche e gli imballaggi in plastica. Senza tali obblighi, infatti, si rischia che certe dinamiche vengano lasciate esclusivamente all’iniziativa degli imprenditori, il cui operato è talvolta orientato a logiche più economiche che ambientali.

 

La necessità di incrementare il livello di consapevolezza su questi temi è certamente precipua, e notiamo che Coripet si contraddistingue per campagne comunicative e di sensibilizzazione originali e per una presenza social apprezzabile, soprattutto in relazione al settore di provenienza. Crede che nel settore pubblico, di contro, si stia facendo abbastanza per sensibilizzare e incentivare i cittadini alla corretta differenziazione dei rifiuti? A suo avviso, il principale ostacolo a una maggiore e più efficiente raccolta in alcuni territori del nostro Paese è rappresentato dalla scarsa sensibilizzazione dei cittadini o dalle sacche di inefficienza del settore pubblico?

Chiaramente, noi dei consorzi di filiera svolgiamo un mestiere diverso rispetto al settore pubblico. Abbiamo il compito di gestire il fine vita degli imballaggi che i nostri consorziati mettono sul mercato e quindi offrire loro un servizio affinché possano raggiungere gli obblighi di legge.

Allo stesso modo, anche la dinamica della raccolta differenziata riguarda un servizio che le municipalizzate e i Comuni hanno l’obbligo di proporre al cittadino.

I volumi di raccolta differenziata in Italia sono elevatissimi, di un livello raggiunto da pochi altri paesi in Europa, e per questo la raccolta differenziata ha raggiunto il suo limite fisiologico.

Vi sono certamente delle Regioni che possono fare di più, ma il tasso di raccolta differenziata, che ci porta a un livello di raccolta di bottiglie di circa il 67%, rappresenta un dato veramente fuori dal comune.

Tuttavia, non è ipotizzabile che quel 30% che manca per arrivare al 100, o quel 22% circa che manca per arrivare all’obiettivo del 90, si possa verosimilmente raggiungere attraverso questo modello. A mio avviso, i numeri e i limiti propri di questo modello di raccolta sono stati raggiunti. Il cittadino, dal canto suo, ha sempre fatto la sua parte e, davanti a un servizio efficiente, risponde egregiamente. I numeri riportati poc’anzi ne sono testimonianza. Sono dati di cui dobbiamo andar fieri, in qualità di cittadini e sistema Paese.

 

l tema del ruolo attivo svolto dai cittadini introduce un argomento dirimente per Coripet e per la raccolta selettiva: gli ecocompattatori. Quali sono le prospettive al fine di incrementarne e migliorarne la diffusione sul territorio e la prossimità al cittadino, anche in termini di incentivazione?

Il dispiegamento degli ecocompattatori in tutto il Paese è dirimente per colmare le lacune in tema di raccolta selettiva. Sono macchine altamente sofisticate e “intelligenti”, capaci di riconoscere e accettare soltanto bottiglie in PET per alimenti e rifiutare qualsiasi altro tipo di plastica o materiale differente. Come dicevamo, se sollecitato con una proposta strutturata, il cittadino risponde egregiamente.

Al fine di aumentarne la diffusione, un ruolo importante è svolto certamente dal Decreto Mangiaplastica, che prevede di fatto un aiuto proposto dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Potrebbe essere perfezionato, ma prevede già da alcuni anni questa opportunità per i Comuni.

Per altri versi, abbiamo ottenuto attraverso il PNRR dei finanziamenti per incrementare la presenza di ecocompattatori in Italia. Siamo prossimi alla cifra dei mille ecocompattatori installati su tutto il territorio nazionale, e l’obiettivo di Coripet è di toccare quota 5000 nei prossimi tre anni.

Quel che abbiamo maggiormente a cuore, come dicevamo prima, è che tutti i nostri consorziati possano raggiungere in modo puntuale gli obblighi di cui sopra, e lavoriamo in tale direzione. In quest’ottica, se da parte del Ministero dell’Ambiente ci fosse ancora più attenzione, avremmo sicuramente qualche freccia in più al nostro arco per evitare al Paese di essere sottoposto all’ennesima infrazione. Noi ce la mettiamo tutta; ad ogni modo, ancorché il nostro consorzio non abbia fini di lucro, il sostegno è fondamentale perché, su piani di investimento così importanti, bisogna avere le spalle larghe.

 

Una posizione, dunque, che mira a scongiurare infrazioni attraverso l’incentivazione di comportamenti virtuosi, riponendo la massima fiducia negli sforzi congiunti di società civile, consorzi e tessuto imprenditoriale, anziché ricorrere a balzelli e obblighi esosi.

Assolutamente sì. Tuttavia, per ribadire il concetto, è indispensabile compiere determinati passi. Non possiamo limitarci a rispedire in toto al mittente – l’Unione Europea – tutto quel che riguarda il riutilizzo, il DRS, gli obblighi di introduzione del riciclato nelle plastiche, altrimenti diviene impossibile ottemperare agli obblighi posti – perché purtroppo, a tal riguardo, non basta far notare che i riciclatori italiani sono tra i migliori al mondo.

I riciclatori italiani hanno bisogno di plastiche da riciclare, soprattutto di plastiche di qualità più elevata da riciclare. In realtà, come testimoniato dal già citato Regolamento 282 del 2008, 15 anni fa l’Europa si era dimostrata già molto chiara circa la direzione che intendeva intraprendere nei decenni a venire, dichiarando che, se vogliamo veramente fare delle cose incontrovertibili a favore dell’ambiente, dobbiamo raccogliere più plastica e di qualità superiore.

Se la volontà è quella di porre l’industria del riciclo come perno dell’economia circolare, occorre aiutarla con le raccolte selettive e volumi sempre più importanti, per creare anche delle economie di scala. Occorre rendere competitiva la filiera per rendere tutti gli attori di questa filiera in grado di competere. Oggi ci troviamo già dinanzi a un concetto di Europa, in un certo senso, a due velocità, perché, dei 27 paesi membri, più della metà ha già adottato il DRS e raccoglie, di conseguenza, già più del 90% di bottiglie in PET.

Il DRS è la raccolta selettiva per eccellenza, perché riguarda solo le bottiglie in PET per alimenti, perché le bottiglie in PET per detergenti e altre applicazioni non sono assoggettate al deposito. Quindi il DRS non è altro che un obbligo a raccogliere tanto e con qualità, perché questi sono i due elementi imprescindibili per chiudere il cerchio del riciclo all’infinito.

Se si vuole far circolare le bottiglie all’infinito, occorre raccoglierle con un modello che garantisca i maggiori criteri qualitativi possibili. È questo il concetto di fondo e Coripet, in veste di consorzio autonomo, si adopera affinché i propri consorziati non espongano il Paese al rischio di infrazioni e nuovi balzelli, che non sono mai da poco. Parliamo, da subito, non di pochi milioni, ma di decine, se non centinaia, di milioni di euro.

Intervista ad Andrea Campelli per Status_Quo

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Il numero di settembre 2023 di Status_Quo, il magazine di Cuiprodest sui temi chiave della politica e dell’impresa raccontati dai loro protagonisti, contiene un’intervista ad Andrea Campelli, Direttore comunicazione e relazioni esterne di Corepla.

Abbiamo posto al Dott. Campelli alcune domande sui possibili effetti del Regolamento imballaggi PPWR e sulle prospettive per il riciclo chimico.

Partendo dal Green Deal, la più ampia strategia volta al compimento della transizione ecologica, il Regolamento imballaggi dell’Unione Europea (PPWR) si prefigge l’obiettivo di ridurre drasticamente la quantità di rifiuti da imballaggi.

Un traguardo, quello della sostenibilità ambientale, universalmente condiviso nel principio, ma che cela rilevanti criticità nei metodi con cui Bruxelles intende perseguirlo – per giunta, in un arco di tempo decisamente breve.

Delle conseguenze non intenzionali e dei rischi connessi all’attuazione del provvedimento in questione abbiamo conversato con Andrea Campelli, Direttore comunicazione e relazioni esterne di COREPLA, Consorzio nazionale per la Raccolta, il Riciclo e il Recupero degli imballaggi in plastica, che ha recentemente compiuto 25 anni di attività e rappresenta la realtà leader di mercato in Italia e un’eccellenza nel settore del riciclo delle materie plastiche a livello europeo.

COREPLA raggruppa le imprese della filiera del packaging ed è un ente senza scopo di lucro, con finalità di interesse pubblico: il raggiungimento degli obiettivi di riciclo e recupero degli imballaggi in plastica previsti dalla legislazione europea, in un’ottica di responsabilità condivisa tra aziende, pubblica amministrazione e cittadini.

Nel corso del 2022, il Consorzio ha avviato a riciclo 727.481 tonnellate di rifiuti di imballaggi in plastica, riportando un incremento dello 0,73% rispetto all’anno precedente, pari al 69% del materiale riciclato a livello nazionale.

 

Direttore, l’Italia è un’eccellenza a livello europeo in tema di riciclo di materie plastiche. Quali ripercussioni potrebbe generare il Regolamento imballaggi PPWR sulla nostra filiera?

Anzitutto, le ripercussioni rischiano di essere notevoli su più piani: economico, strutturale e culturale.

Dal punto di vista economico e strutturale, chiaramente, si rischia di arrecare danni consistenti al nostro sistema di filiera, con il suo fatturato e i suoi impiegati, così come verrebbe compromessa la realizzazione di nuovi impianti finanziata dal PNNR.

Non da meno sarebbe il danno culturale: nel caso di Corepla, infatti, parliamo di un patrimonio di conoscenze in tema di raccolta differenziata che rappresenta un’eccellenza edificata in 25 anni di attività. Infine, a livello politico, il Paese registrerebbe una significativa perdita di terreno su alcuni dossier internazionali strategici.

Per entrare nel merito dei contenuti del PPWR, Corepla è perfettamente d’accordo sui principi del Green Deal e del Regolamento e sul raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale.

Sono, al contrario, le modalità indicate che riteniamo errate: l’anteporre il riutilizzo al riciclo – con la filiera del riciclo italiana che rappresenta un’eccellenza a livello europeo e ha ottenuto risultati notevoli – e la scelta di ricorrere allo strumento del Regolamento anziché della Direttiva Europea.

 

Vi sono differenze, a livello di impatto ambientale e igienico-sanitario, tra il riciclo delle materie plastiche e il loro riuso, così per come si viene a delineare nel PPWR?

Occorre premettere che il riuso è già considerato prioritario nella gerarchia dei rifiuti, come già indicato dall’Unione Europea nell’articolo 4 della Direttiva rifiuti del 2008, quindi non vi sarebbe nulla di nuovo da questo punto di vista. Quello che intende fare ora l’UE è rendere prevalente il riuso sul riciclo, il che comporterebbe una difficile applicabilità di questa metodologia, che infatti non viene nemmeno chiarita ma lasciata a decreti attuativi e atti delegati, di cui si sta abusando. Si tratta, a dir poco, di una peculiarità giuridica e politica, di cui non vengono neanche specificati i tempi.

Bisognerebbe dunque chiarire alcuni punti: anzitutto, come si dovrebbe attuare il riuso? Per quale tipologia di prodotti?

Non per tutto, di fatti, vi si può ricorrere. In definitiva, come abbiamo visto poc’anzi, oltre a non essere chiara l’applicazione, ci esporremmo a un forte rischio dal punto di vista igienico-sanitario, perché l’imballaggio – e questo è un concetto chiave che a Bruxelles non è chiaro a molti – non è un vezzo.

Certamente, alcune aziende ne hanno abusato, ricorrendovi come strumento di marketing, ma l’imballaggio serve innanzitutto a proteggere le qualità organiche di un prodotto e a garantirne l’igiene e la conservazione. Tutto ciò verrebbe completamente vanificato dal riuso, a meno che non si imponga un obbligo di lavare o addirittura sterilizzare il packaging, le bottiglie e i contenitori, il che avrebbe però un impatto sulla sostenibilità che non è stato misurato.

Nessuno si è premurato di chiarire questo punto, ma si tratterebbe, certamente, di un’impronta ambientale ben più alta e dannosa di quella generata dal riciclo, se per riutilizzare ogni bottiglia occorresse consumare dell’acqua – pensiamo ai momenti di maggiore siccità e di crisi idrica.

Aggiungerei poi la complessità nell’applicare la logica del riuso al settore dell’HORECA (hotellerie, restaurants, cafè) o al mondo dell’esportazione, ad esempio al settore vitivinicolo. Anche qui, non è chiaro su chi ricada l’onere, nel caso dell’esportazione: su chi esporta o su chi consuma?

 

Nuove e interessanti prospettive riguardano il riciclo chimico e l’utilizzo di quella percentuale residua di plastica che non può essere riciclata per realizzare combustibile da rifiuto pulito e ad alta efficienza. Qual è il quadro che si viene a delineare, a livello nazionale e comunitario? Sono soluzioni che l’Unione Europea e l’Italia incentivano?

Nel caso del CSS, Combustibile solido secondario, purtroppo l’Italia non ne incentiva l’uso in sostituzione dei tradizionali e ben più inquinanti combustibili fossili. Mi lasci dire che è una follia.

Abbiamo molti impianti che producono CSS da plastiche In Italia, ma la mancanza di incentivi li costringe a esportare in Paesi limitrofi, come Francia e Spagna, perché risulta più conveniente venderlo all’estero, nonostante i costi di trasporto, che fornirlo ad aziende italiane – penso soprattutto alle nostre cementerie, dove il CSS troverebbe grande utilizzo. L’incentivazione all’uso del CSS, oltretutto, completerebbe il processo di riutilizzo della plastica, con una parte che verrebbe riciclata e l’altra utilizzata per produrre CSS, chiudendo il cerchio dell’economia circolare.

Per quanto riguarda il riciclo chimico, si stanno compiendo dei passi in avanti significativi, sia nelle tecniche di riciclo che nella qualità dell’output di questi processi, dunque del prodotto finale ottenuto.

A parere di Corepla, occorre far convivere i sistemi in maniera integrata e osservare con molta attenzione gli sviluppi tecnologici e scientifici in corso, perché il riciclo chimico sta progredendo, ma vi sono ancora studi e accertamenti necessari.

Per il momento, i risultati migliori sono ottenuti dal riciclo meccanico, ma crediamo che in futuro ci possano essere dei sistemi di integrazione tra i due, perché, come già specificato, la qualità dell’output del riciclo chimico sta aumentando.

Come nasce la Plastic Tax

By News

La Plastic Tax è uno dei temi al centro del dibattito europeo da mesi. Un dibattito caratterizzato da elementi polemici spesso troppo ideologici, che poco hanno a che fare con le reali esigenze del sistema economico e del comparto produttivo. Per questa ragione, è necessario approfondire vari aspetti peculiari che caratterizzano la tassa in questione, per andare oltre le divisioni politiche e tentare di fare maggiore luce su un’imposta destinata a far discutere ancora. Ciò è necessario per trovare un compromesso costruttivo tra le esigenze dell’industria e della produttività e il processo di transizione ecologica ormai in atto.

 

L’EUROPA IN PRIMA LINEA CONTRO LA PLASTICA

Gli obiettivi della presente direttiva sono prevenire e ridurre l’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente, in particolare l’ambiente acquatico, e sulla salute umana, nonché promuovere la transizione verso un’economia circolare con modelli imprenditoriali, prodotti e materiali innovativi e sostenibili, contribuendo in tal modo al corretto funzionamento del mercato interno.

Questo è il testo dell’articolo 1 della direttiva n. 2019/904 che ha introdotto la Plastic Tax a livello europeo. La direttiva si applica ai prodotti di plastica monouso, elencati nell’allegato della stessa, dal quale si evince la grande varietà di prodotti in plastica interessati dalla nuova normativa. È interessante la definizione di plastica, introdotta dall’articolo 3 della direttiva, il quale fa riferimento all’articolo 3, punto 5), del regolamento (CE) n. 1907/2006. Nello specifico si parla del materiale costituito da un polimero, ossia: “una sostanza le cui molecole sono caratterizzate dalla sequenza di uno o più tipi di unità monomeriche. Tali molecole devono essere distribuite su una gamma di pesi molecolari in cui le differenze di peso molecolare siano principalmente attribuibili a differenze nel numero di unità monomeriche”. Aldilà delle definizioni scientifiche da intenditori, quello che conta è che parliamo di un materiale cui possono essere stati aggiunti additivi o altre sostanze e che soprattutto può funzionare come componente strutturale principale dei prodotti finiti. Ovviamente, vanno esclusi i polimeri naturali, non modificati chimicamente.

Al secondo comma dell’art. 3 (Definizioni) della direttiva viene esplicitato il significato di “prodotto di plastica monouso”:

il prodotto fatto di plastica in tutto o in parte, non concepito, progettato o immesso sul mercato per compiere più spostamenti o rotazioni durante la sua vita essendo rinviato a un produttore per la ricarica o riutilizzato per lo stesso scopo per il quale è stato concepito.

L’articolo 4 della direttiva entra nel merito delle azioni e delle misure che gli Stati membri devono compiere per ridurre il consumo di plastica monouso. Misure che hanno l’obiettivo ambizioso di realizzare, entro il 2026, una riduzione numericamente quantificabile del consumo di prodotti in plastica. Entro la data del 3 luglio 2021, gli Stati dovranno preparare e far pervenire alla Commissione Europea una descrizione delle misure adottate e in seguito renderla pubblica.

Oltre alle misure generali volte alla riduzione del consumo, gli Stati membri possono attuare disposizioni che diano impulso all’utilizzo di plastica riutilizzabile, oppure strumenti economici orientati ad impedire che i prodotti in plastica monouso siano accessibili gratuitamente presso i punti vendita. Gli Stati possono addirittura imporre restrizioni di mercato, in deroga ai principi fondanti l’Unione e nello specifico in deroga all’articolo 18 della direttiva 94/62/CE, per evitare che i prodotti monouso vengano dispersi.

In conclusione “le misure possono variare in funzione dell’impatto ambientale di tali prodotti di plastica monouso durante il loro ciclo di vita, anche una volta che si trasformano in rifiuti abbandonati”. Gli Stati membri sono obbligati ad adottare le misure legislative del caso, per conformarsi alla direttiva, entro il 3 luglio 2021.

L’Unione Europea ha riconfermato in modo esplicito il suo impegno per la riduzione dell’utilizzo di plastica attraverso la decisione n. 2020/2053 (UE-Euratom) del Consiglio, che istituisce una nuova Plastic Tax, questa volta a carico degli Stati Membri. In particolare all’articolo 2, comma 1, lettera c della decisione si può leggere che vanno ad aggiungersi alle risorse proprie del bilancio UE le entrate derivanti dall’applicazione di un’aliquota uniforme di prelievo sul peso dei rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati generati in ciascuno Stato membro. L’aliquota uniforme di prelievo è pari a 0,80 EUR per chilogrammo.

Va precisato che alcuni Stati membri potranno usufruire di una riduzione forfettaria annua dell’imposta. In particolare per l’Italia questa ammonterà a circa 184 milioni di euro.

 

LA PLASTIC TAX ITALIANA

La legge di Bilancio 2020 ha introdotto per la prima volta in Italia una tassa sulla plastica. La legge, al comma 634 dell’articolo 1, ha introdotto la definizione di “manufatti con singolo impiego”(MACSI):

che hanno o sono destinati ad avere funzione di contenimento, protezione, manipolazione o consegna di merci o di prodotti alimentari; i MACSI, anche in forma di fogli, pellicole o strisce, sono realizzati con l’impiego, anche parziale, di materie plastiche costituite da polimeri organici di origine sintetica e non sono ideati, progettati o immessi sul mercato per compiere più trasferimenti durante il loro ciclo di vita o per essere riutilizzati per lo stesso scopo per il quale sono stati ideati.

Sono esclusi da tale specifica definizione i cosiddetti MACSI compostabili, ossia conformi agli standard della norma UNI EN 13432:2002. In particolare, un MACSI per essere considerato compostabile deve rispettare i requisiti di biodegradabilità e disintegrabilità in tempi brevi e di compatibilità con un processo di compostaggio. In sostanza deve essere un prodotto trasformabile in anidride carbonica, compost fertile o acqua e non deve rilasciare sostanze nocive che possano alterare il contenuto e la qualità del compost prodotto. Sono inoltre esclusi dall’imposta i dispositivi medici individuati dalla Commissione unica sui dispositivi medici e i MACSI destinati al contenimento e alla protezione dei preparati medicinali.

Il comma 635  aggiunge alcuni prodotti alla categoria dei MACSI:

Ai fini dell’applicazione dell’imposta di cui al comma 634, sono considerati MACSI anche i dispositivi, realizzati con l’impiego, anche parziale, delle materie plastiche di cui al comma 634, che consentono la chiusura, la commercializzazione o la presentazione dei medesimi MACSI o dei manufatti costituiti interamente da materiali diversi dalle stesse materie plastiche. Sono altresì considerati MACSI i prodotti semilavorati, realizzati con l’impiego, anche parziale, delle predette materie plastiche, impiegati nella produzione di MACSI.

L’importo della tassa è fissata a 0,45 euro per chilogrammo di materia plastica contenuta nei MACSI e l’obbligazione sorge al momento della produzione, dell’importazione definitiva nel territorio nazionale ovvero dell’introduzione nel medesimo territorio da altri Paesi dell’Unione europea e diviene esigibile all’atto dell’immissione in consumo dei MACSI nel territorio nazionale.

I soggetti passivi di imposta sono il fabbricante (per i MACSI prodotti nel territorio nazionale), l’importatore (per i MACSI provenienti da Paesi terzi), l’acquirente (nel caso di MACSI acquistati nell’esercizio di attività economica) o il cedente (nel caso di MACSI acquistati da un consumatore privato). L’accertamento dell’imposta avviene attraverso la presentazione di una dichiarazione trimestrale all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, la quale deve essere presentata entro la fine del mese successivo al trimestre solare cui la dichiarazione si riferisce. La normativa prevede anche un credito d’imposta, che corrisponde al 10% delle spese sostenute dai produttori di MACSI per adeguare la produzione agli standard EN 13432:2002 di cui si è parlato in precedenza.

La legge di Bilancio 2021 (Legge 30 dicembre 2020, n. 178) ha previsto alcune modifiche alla disciplina della Plastic Tax: su tutte, il rinvio dell’entrata in vigore dell’imposta dal 1 gennaio 2021 al 1 luglio 2021. Altre novità importanti riguardano l’aggiunta delle preforme nelle categorie interessate dall’imposta e, come soggetto passivo di imposta, di chi,  residente  o  non residente  nel  territorio  nazionale,  intende  vendere  MACSI, ottenuti per suo  conto  in  un  impianto  di  produzione,  ad  altri soggetti nazionali.

Vengono modificati anche i limiti minimi per il versamento dell’imposta: non si è tenuti infatti a versarla nel caso in cui l’importo dovuto a titolo di imposta sia inferiore o pari euro 25 e non 10 come nella prima versione. L’ultima legge di Bilancio va a modificare anche il regime sanzionatorio: in caso di mancato o ritardato pagamento, la sanzione va dal doppio al quintuplo dell’imposta dovuta (sempre sopra 250 euro), in caso di ritardo nella presentazione della dichiarazione trimestrale e per altre violazioni riguardanti l’imposta va applicata la sanzione amministrativa da 250 a 2.500 euro.

Altra novità di una certa importanza nella legge di Bilancio 2021 è la misura che dà impulso al riciclaggio del polietilentereftalato (PET), ossia del poliestere impiegato nell’ottenimento di bottiglie di plastica, contenitori per confezionare bibite e alimenti, prodotti per la cura della persona e altri prodotti destinati al consumo. A partire dal 1 gennaio di quest’anno, infatti, c’è la possibilità per i produttori di contenitori in PET di utilizzare materiale 100% riciclato, mentre prima era obbligatorio l’utilizzo di una parte di PET vergine.

 

PARLAMENTO ITALIANO: LE ULTIME SULLA PLASTICA

Il dibattito inerente la Plastic Tax ovviamente è presente da mesi anche nell’ambito politico-istituzionale italiano. In particolare, lo scorso 16 marzo si è svolta l’audizione del Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, il quale ha risposto ad alcune domande dei parlamentari di Camera e Senato che fanno parte delle commissioni Ambiente e Industria e Attività produttive.

L’Onorevole Elena Lucchini della Lega ha dichiarato di essere contraria alla Plastic Tax, perché demonizza la plastica in modo sommario, ma di essere favorevole alla tassazione della plastica non riciclata (così come chiede l’Europa). Il problema della tassa sulla plastica, tra l’altro, va ad aggiungersi a quello del rincaro dei prezzi delle materie prime, che nel caso della plastica si attesta ad un preoccupante 50%.

Durante lo svolgimento dell’audizione anche altri parlamentari, Erica Mazzetti (FI) e Monica Ciaburro (FdI), hanno chiesto chiarimenti al ministro sulla questione della plastica. Il ministro ha risposto rapidamente alle sollecitazioni dei parlamentari, affermando che sta studiando il tema e che nel settore della plastica ci sono delle eccellenze dell’imprenditoria.

Ha anche specificato, però, che la Plastic Tax e il rincaro dei prezzi non sono temi da affiancare, in quanto ci sono differenze sostanziali. Ha inoltre affermato che sarà necessaria una riflessione tecnica e che il riciclo della plastica è complesso ma nel nostro Paese abbiamo le competenze per occuparci della tematica.

Ad ogni modo, la sensazione è che si parlerà ancora per molto di Plastic Tax, con probabilità alta di ulteriori rinvii. La speranza è che si riesca a trovare un accordo che crei un bilanciamento tra i vari interessi in gioco e l’esigenza di una riconversione razionale del sistema produttivo.

 

Riferimenti normativi:

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32019L0904.

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32006R1907R(01)&from=DE.

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=LEGISSUM%3Al21207.

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32020D2053&from=EN.

https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/12/30/19G00165/sg.

https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/12/30/20G00202/sg.

Fonte immagine: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Plastic_objects.jpg.